La pancreatite cronica
Descrizione
Perché seguire questo corso FAD ECM sulla pancreatite cronica
Questo corso fornisce le informazioni evidence based su cui basare le proprie raccomandazioni nella pratica quotidiana per le persone con pancreatite cronica. Si parte dalla conoscenza di base della malattia, per arrivare alla diagnosi e al corretto trattamento.
Che cosa imparerai seguendo questo corso
Al termine del corso si saranno acquisite conoscenze per riconoscere e interpretare la pancreatite cronica, per scegliere quali esami prescrivere, per gestire il paziente con consigli e terapie e per valutare l’andamento nel tempo della malattia.
A chi è dedicato questo corso ECM
Questo corso si rivolge a tutti gli operatori sanitari vista la trasversalità della condizione e i consigli che devono essere dati.
Che cosa comprende il corso
Il corso FAD ECM comprende un dossier ricco di riferimenti bibliografici per chi volesse approfondire l'argomento, un caso di pratica clinica con cui cimentarsi e un questionario ECM randomizzato con soglia di superamento al 75% delle risposte corrette, oltre al questionario di gradimento con possibilità di lasciare commenti in aperto sul corso svolto.
Aperto a
medici chirurghi, infermieri, ostetriche/i, farmacisti, assistenti sanitari, biologi, chimici, dietisti, educatori professionali, fisici, fisioterapisti, igienisti dentali, infermieri pediatrici, logopedisti, massofisioterapisti, odontoiatri, ortottisti/assistenti di oftalmologia, podologi, psicologi, tecnici audiometristi, tecnici audioprotesisti, tecnici della prevenzione nell'ambiente e nei luoghi di lavoro, tecnici della riabilitazione psichiatrica, tecnici di fisiopatologia cardiocircolatoria e perfusione cardiovascolare, tecnici di neurofisiopatologia, tecnici ortopedici, tecnici sanitari di radiologia medica, tecnici sanitari laboratorio biomedico, terapisti della neuro e psicomotricità dell'età evolutiva, terapisti occupazionali, veterinari
Obiettivo nazionale
Area obiettivi: Area degli obiettivi formativi di sistema
Obiettivo formativo: Applicazione nella pratica quotidiana dei principi e delle procedure dell'evidence based practice (EBM - EBN - EBP)
Cimentati con un caso del corso
Nei piccoli paesi di provincia, sulle colline delle Prealpi, che di questi tempi anche d’inverno fanno fatica a colorarsi di bianco (ah, il riscaldamento climatico!), la vita scorre secondo secolari consuetudini, almeno per chi porta sulle spalle un buon fardello d’anni e di fatiche.
Lì nel vecchio borgo, sotto la vecchia chiesa, gran parte delle case hanno le finestre chiuse, che forse non si riapriranno più, e non si vedranno più i bei vasi di gerani sul davanzale, che si mescolavano alla luce delle candele e dei lumini la sera di Ferragosto, al passaggio della lunga processione con la statua della Madonna, accompagnata dal canto del parroco e dei fedeli in umile preghiera.
Adesso per le strette strade del centro, dove prima si aprivano le vetrine dei negozi e si sentivano le grida allegre dei bambini, che inseguivano il pallone rotolante giù per le discese fino alla piazza grande, adesso si vedono saracinesche abbassate, e al posto delle voci, un gran silenzio, interrotto dal rumore delle radio e dei televisori, che mandano, quando è buio intorno, bagliori azzurri che guizzano nell’aria, dove non volano più le lucciole di un tempo.
In quel posto che si va svuotando, perché i giovani vanno a lavorare in Svizzera, al di là del vicino confine e anche d’estate i forestieri sono sempre più rari, Pietro ha vissuto tutti i suoi primi 60 anni: lì è cresciuto, ha frequentato l’oratorio, ha fumato le prime sigarette, lì ha incontrato il suo primo amore e dato i suoi primi baci, lì s’è sposato con la maestra del posto e ha messo al mondo due figli, che studiano lontano, nella grande città che lui non ha mai visto e che non ha mai desiderato conoscere.
Il mestiere di boscaiolo lo fa da sempre, come lo faceva suo padre: il bosco è un po’ la sua seconda casa, come un amato rifugio, che accoglie le sue confidenze, oltre alla sua fatica e al suo sudore, e i suoi pensieri, che sono diventati via via sempre più tristi di fronte allo spettacolo di un mondo troppo diverso dal suo, distante e che sembra respingerlo lontano.
I suoi amici sono le creature intorno: gli alberi con il fruscio gentile al vento che ne scompiglia le chiome, gli animali dal verso ormai non più straniero, come gli scoiattoli che gli saltellano intorno o qualche coraggioso cervo che gli si avventura vicino, o quelli che strisciano veloci, vipere o bisce, di cui ha imparato, guardingo, a non aver paura; e poi la pioggia, anche quella s’è fatta amica, che quando se la sente addosso, gli sembra voglia toglierli la ruggine degli anni.
E la sera poi, già “che si fa la sera” in quel luogo dove le occasioni d’incontro sono diventate preziose perché rare? La sera i “vecchi” si ritrovano all’osteria del paese e come quei “quattro amici al bar” di Gino Paoli si gioca a carte, a tressette, e si parla di politica e di sport, e le voci si alzano, i toni si accendono, e arriva giù qualche bestemmia, ma su quelle bocche sembra non far male perché non c’è cattiveria, ma quasi un disperato desiderio di continuare a stare insieme.
Il medico condotto, però, gliela aveva detto, che era meglio in quelle serate non alzare troppo il gomito (“un bicchiere di quello buono, meglio nero, e poi basta”) e non riempire il posacenere di “cicche”, che alla fine non si contano più.
Ma Pietro da quell’orecchio non ci sente (non c’ha mai sentito): “Si vive una volta sola… e che altro potrei fare per tirare tardi, specialmente nella cattiva stagione quando il buio scende presto e davanti al televisore mi prende subito sonno, a meno che non giochi la Juventus?”
Il fatto è che quelle serate all’osteria sono state sempre condite, oltre che dal vino e dal fumo, anche da qualche bella fetta di salame o di coppa, quelli buoni, e da gustosi assaggi di lardo, poco importa se quello grasso, proprio grasso (“è roba sana, nostrana”, lì c’è ancora chi ammazza il maiale d’inverno e mette tanta roba a penzolare dai ganci, in cantina).
Ma, alla fine, è arrivato il conto: da un po’ di mesi Pietro non sta bene, non si sente in forma, “non è più quello di prima”, anche la scure nel bosco, al taglio dei tronchi, gli sembra molto più pesante e, quasi sorprendendosi, non vede l’ora che scenda l’imbrunire per riprendere la strada di casa, dove sta volentieri in poltrona, e qualche sera “l’ha data buca” agli amici (anche il breve tragitto verso l’osteria lo stanca e, quasi quasi, perfino il vino nero e le sigarette gli danno un po’di fastidio, senza più il gusto di prima).
Lì nel vecchio borgo, sotto la vecchia chiesa, gran parte delle case hanno le finestre chiuse, che forse non si riapriranno più, e non si vedranno più i bei vasi di gerani sul davanzale, che si mescolavano alla luce delle candele e dei lumini la sera di Ferragosto, al passaggio della lunga processione con la statua della Madonna, accompagnata dal canto del parroco e dei fedeli in umile preghiera.
Adesso per le strette strade del centro, dove prima si aprivano le vetrine dei negozi e si sentivano le grida allegre dei bambini, che inseguivano il pallone rotolante giù per le discese fino alla piazza grande, adesso si vedono saracinesche abbassate, e al posto delle voci, un gran silenzio, interrotto dal rumore delle radio e dei televisori, che mandano, quando è buio intorno, bagliori azzurri che guizzano nell’aria, dove non volano più le lucciole di un tempo.
In quel posto che si va svuotando, perché i giovani vanno a lavorare in Svizzera, al di là del vicino confine e anche d’estate i forestieri sono sempre più rari, Pietro ha vissuto tutti i suoi primi 60 anni: lì è cresciuto, ha frequentato l’oratorio, ha fumato le prime sigarette, lì ha incontrato il suo primo amore e dato i suoi primi baci, lì s’è sposato con la maestra del posto e ha messo al mondo due figli, che studiano lontano, nella grande città che lui non ha mai visto e che non ha mai desiderato conoscere.
Il mestiere di boscaiolo lo fa da sempre, come lo faceva suo padre: il bosco è un po’ la sua seconda casa, come un amato rifugio, che accoglie le sue confidenze, oltre alla sua fatica e al suo sudore, e i suoi pensieri, che sono diventati via via sempre più tristi di fronte allo spettacolo di un mondo troppo diverso dal suo, distante e che sembra respingerlo lontano.
I suoi amici sono le creature intorno: gli alberi con il fruscio gentile al vento che ne scompiglia le chiome, gli animali dal verso ormai non più straniero, come gli scoiattoli che gli saltellano intorno o qualche coraggioso cervo che gli si avventura vicino, o quelli che strisciano veloci, vipere o bisce, di cui ha imparato, guardingo, a non aver paura; e poi la pioggia, anche quella s’è fatta amica, che quando se la sente addosso, gli sembra voglia toglierli la ruggine degli anni.
E la sera poi, già “che si fa la sera” in quel luogo dove le occasioni d’incontro sono diventate preziose perché rare? La sera i “vecchi” si ritrovano all’osteria del paese e come quei “quattro amici al bar” di Gino Paoli si gioca a carte, a tressette, e si parla di politica e di sport, e le voci si alzano, i toni si accendono, e arriva giù qualche bestemmia, ma su quelle bocche sembra non far male perché non c’è cattiveria, ma quasi un disperato desiderio di continuare a stare insieme.
Il medico condotto, però, gliela aveva detto, che era meglio in quelle serate non alzare troppo il gomito (“un bicchiere di quello buono, meglio nero, e poi basta”) e non riempire il posacenere di “cicche”, che alla fine non si contano più.
Ma Pietro da quell’orecchio non ci sente (non c’ha mai sentito): “Si vive una volta sola… e che altro potrei fare per tirare tardi, specialmente nella cattiva stagione quando il buio scende presto e davanti al televisore mi prende subito sonno, a meno che non giochi la Juventus?”
Il fatto è che quelle serate all’osteria sono state sempre condite, oltre che dal vino e dal fumo, anche da qualche bella fetta di salame o di coppa, quelli buoni, e da gustosi assaggi di lardo, poco importa se quello grasso, proprio grasso (“è roba sana, nostrana”, lì c’è ancora chi ammazza il maiale d’inverno e mette tanta roba a penzolare dai ganci, in cantina).
Ma, alla fine, è arrivato il conto: da un po’ di mesi Pietro non sta bene, non si sente in forma, “non è più quello di prima”, anche la scure nel bosco, al taglio dei tronchi, gli sembra molto più pesante e, quasi sorprendendosi, non vede l’ora che scenda l’imbrunire per riprendere la strada di casa, dove sta volentieri in poltrona, e qualche sera “l’ha data buca” agli amici (anche il breve tragitto verso l’osteria lo stanca e, quasi quasi, perfino il vino nero e le sigarette gli danno un po’di fastidio, senza più il gusto di prima).
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